La Picca

La picca è un’arma molto antica: la sarissa macedone ne è un esempio, arma che cadde in declino con l’evolversi della legione romana; ricompare poi sporadicamente nell’impero bizantino.

In Europa occidentale, il suo uso crebbe dal XII secolo in poi. La sua comparsa sui campi di battaglia andò a sconvolgere sempre più l’utilizzo della cavalleria pesante che per secoli da sola poteva decidere le sorti di una battaglia. Le poderose cariche, che prima travolgevano le fanterie, ora invece sempre più spesso finivano per infrangersi sulle formazioni dotate di queste lunghe e potenti armi. Nel 1400 con gli Svizzeri diventa l’arma regina della fanteria e da lì è diventata fino al 1700 arma dominante in tutta Europa.

É un’arma inastata costituita da una punta metallica di varie forme e fogge montata su un’asta di legno (generalmente frassino) di dimensione variabile che può andare dai 3 ai 6 metri.

La fanteria Europea, nel Medioevo, svolgeva un’azione prevalentemente difensiva e lasciava alla cavalleria pesante, con la “carica”, l’intervento risolutore. Quando l’azione della fanteria da difensiva diviene offensiva, grazie all’uso delle picche, la cavalleria pesante perse il predominio sui campi di battaglia e si assiste alla trasformazione dell’arte della guerra.

La picca fu introdotta in combattimento nel corso del Basso Medioevo da parte di forze scarsamente addestrate formate da miliziani, come i fiamminghi e gli scozzesi, e in mano a tali forze dimostrò la propria efficacia nel respingere la potente e addestrata cavalleria feudale.

In Italia, fin dai primi decenni del XIII secolo, la picca cominciò a diffondersi all’interno degli eserciti comunali, tanto da divenire tra fine del XIII secolo ed i primi decenni del XIV una delle principali armi delle fanterie italiane. Tuttavia, intorno alla metà XIV secolo, il suo impiegò risultò più raro, anche se, forse per influenza delle nascenti fanterie svizzere, verso la fine del secolo e soprattutto nello stato Visconteo, l’uso della lancia lunga riprese vigore.

Proprio nel XV secolo le tattiche di fanteria furono completamente rinnovate dall’impiego massiccio della picca da parte delle forze elvetiche; nel corso delle guerre condotte dagli svizzeri  per la propria indipendenza era emersa la scarsa efficacia di armi in asta più corte, come l’alabarda, nel respingere la cavalleria, fu adottata quindi l’introduzione della picca come arma principale della fanteria, utilizzata prima in maniera difensiva, poi, in seguito all’adozione di tattiche più perfezionate, anche in funzione offensiva; a questo scopo l’arma veniva tenuta orizzontalmente a livello del petto, impugnandola a metà della propria lunghezza (tale tecnica di maneggio venne detta schweizer Stoss).

A supporto delle picche, vennero introdotte formazioni di schioppettieri poste ai fianchi, con il compito di coprire le formazioni principali di picchieri e supportarle con un tiro di disturbo e preparazione, a ulteriore supporto vi erano anche gruppi di alabardieri con funzione di ulteriore protezione dei fianchi.

Le battaglie di Grandson, Morat e Nancy (ultimo quarto del XV secolo) fecero affermare le fanterie svizzere e le pose all’attenzione dei reggenti degli eserciti di tutta l’Europa; hanno assalito e sconfitto un’armata, quella di Carlo il Temerario duca di Borgogna, completa di tutte le specialità: fanteria, artiglieria e cavalleria. La crescente popolarità degli svizzeri e del loro stile di combattimento portarono ad una forte richiesta da parte delle potenze europee di mercenari, con il risultato che le tecniche svizzere si diffusero presto in tutta Europa. Inoltre, come tentativo di creare un’alternativa alle forze svizzere, si formarono nell’Impero corpi di lanzichenecchi, che utilizzavano tattiche analoghe a quelle svizzere e che ben presto segnarono con la loro presenza i campi di battaglia (i lanzichenecchi impiegavano una diversa tecnica di maneggio rispetto agli svizzeri, detta deutschen Stoss, in cui l’asta era tenuta nel terzo finale).

Non sempre tuttavia la picca permetteva di sconfiggere gli avversari, e venne presto alla luce la vulnerabilità delle formazioni di picchieri alle armi da lancio (frecce, dardi di balestra e lanciotti) e all’artiglieria, nonché la vulnerabilità dei loro fianchi.

La difficoltà del maneggio dipendeva dalla lunghezza della picca e più arduo diventava il maneggiarla più il suo utilizzo era riservato in esclusiva ai professionisti specializzati e molto addestrati. “Il maneggio della picca era difficile ed esigeva un lungo apprendistato e la marcia a passo cadenzato… Tra i 16 e i 18 anni si apprendeva il maneggio della picca e la disciplina della formazione: scuola rude dove i più deboli venivano eliminati. Veniva curato anche l’addestramento per resistere a lungo nella corsa e per agire nel corpo a corpo contro i cavalieri. In questo intervento gli addestrati scivolavano in mezzo ai cavalli galoppanti dei nemici, afferravano parando i colpi, le briglie dei cavalieri e li tiravano giù dalla sella”.

Con la picca lunga si potevano portare esclusivamente colpi di stocco e cioè di punta, quindi era fondamentale il mantenimento della formazione e la bravura nel brandeggio dell’arma. Le fanterie svizzere si autogovernavano con un ferreo codice d’onore. “Chi abbandonava il reparto durante il combattimento, fuggiva o dava segni di paura, veniva ucciso sul posto dai suoi camerati. La famiglia di un vile o di un disertore dichiarato infame e spergiuro perdeva onore e diritti civili per tre generazioni e la sua casa veniva rasa al suolo”.

All’inizio del ‘500 una unità di picchieri quando si schierava in battaglia assumeva la forma del quadrato. Così un corpo di 5.000 fanti con 86 file o colonne (un uomo dietro l’altro occupanti m.1,5) su 58 righe (un uomo a fianco all’altro occupanti m.1) formava un quadrato di circa m. 86×86.  Gli Svizzeri, privi di cavalleria, manovravano con la loro fanteria ripartita in tre unità distinte a composizione numerica differente, ognuna di queste unità poteva manovrare sul campo di battaglia in modo indipendente, adottando una tattica eminentemente offensiva. Le unità attaccavano avanzando in modo serrato e compatto con grande velocità così da sorprendere l’avversario impreparato. In genere mentre due unità attaccavano frontalmente, una terza attuava una mossa aggirante per raggiungere il fianco o il retro dello schieramento avversario.

La manovra delle tre unità era favorita dal loro modo di schierarsi. La prima (Vorhut – Avanguardia) era spostata in avanti lateralmente rispetto all’unità centrale più numerosa (Gewalthaufen – unità principale). La terza unità (Nachut – Retroguardia) era spostata indietro, lateralmente, rispetto alla seconda (Gewalthaufen) e dalla parte opposta della prima (Vorthut).

La picca utilizzata dagli Svizzeri fin verso la fine del XV secolo era lunga circa 3 metri; successivamente si allungò fino a superare i cinque metri. Lo Scheider cita un esempio di picca lunga 5,6 metri e il Forrer quello di picche lunghe 6 metri.

Le punte delle picche che sporgevano dal fronte della formazione costituivano un ostacolo impervio per una carica della cavalleria e comportavano un impatto travolgente nell’assalto contro gli schieramenti di fanteria nemica. Il numero di queste punte sporgenti era tanto più grande quanto maggiore era la lunghezza della picca.

Sull’uso della picca e le formazioni di picchieri italiani vi sono alcune fonti, una fonte certa è costituita dalla Relazione del Provveditore Veneziano Giovanni Da Lezze, che redige un rapporto dettagliato dei siti produttivi di Bergamo, in cui raccoglie numerose informazioni legate all’approvvigionamento di armamenti per conto della Serenissima Repubblica di Venezia. Risulta interessante considerare la capacità produttiva di un Follo (bottega) di un armaiolo, e trovare tra le sue opere armi inastate, fra cui la picca: “Una fusina de arme da talio lavora ogni giorno con un huomo ciovè spade o storte n.25…pugnali et daghe n.46… spontoni n.75… alabarde & Piche, spiedi, cortellazzi et altre simili arme n.18…”.

Per “homo” s’intende solitamente il Mastro Armaiolo, che disponeva di tutti quei lavoratori, più o meno specializzati, i quali componevano il personale della fucina capace di produrre questi ingenti quantitativi di armi. La fornitura di armi inastate era intesa già compresa del legno sul quale montava il ferro, con bandelle ed eventuali rinforzi; era quindi compito dell’Armaiolo occuparsi dell’individuazione della materia prima e della lavorazione del frassino stagionato per creare la robusta asta. Bergamo e Brescia erano famose per la produzione di armi, fra cui le Picche, e gli Estimi segnalano un gran numero di Mastri Armaioli specializzati nella produzione di armi inastate, chiamati “Mastri Lanzari”, la cui massima presenza parte dall’ultimo quarto del XV sec. e perdura fino alla prima parte del XVII Sec.