Armi Da Tiro

La fanteria veneziana alla fine del XV secolo aveva a disposizione  varie tipologie di armi, di alcune si è già trattato, un discorso a parte meritano le armi da tiro o da lancio.
Ovviamente si sta parlando di armi utilizzate dal singolo militare e non di armi il cui impiego necessitasse di più persone (mangano, catapulte, ecc.) ci si riferisce ad archi e balestre.

L’Arco

Per quanto riguarda gli archi si hanno testimonianze dell’uso dell’arco a doppia curvatura o arco riflesso, in particolare dell’arco ungherese; in Italia l’arco ungherese fu portato dai numerosi mercenari ungheresi che operarono a partire dalla metà del Trecento, inizialmente riscosse un certo interesse, dato che abbiamo notizia a Firenze ed in altri luoghi di maestri in grado di realizzare archi di questo tipo. Come pure, ancora nei primi decenni del Quattrocento, archi ungheresi furono menzionati negli elenchi delle armi presenti in diversi castelli del Nord Italia ed in particolare in Friuli, tuttavia, nel corso del secolo, il loro uso divenne sempre più sporadico, fino a scomparire dallo scenario bellico nazionale.
Si tratta di un arco composito, cioè costruito con materiali diversi tra di loro, legno o bambù per lo scheletro centrale, corno sul ventre (la parte dell’arco rivolto verso l’arciere) e tendine sul dorso (la parte dell’arco rivolto verso il bersaglio), sia con leve rigide in legno, eventualmente rinforzate con osso, più o meno lunghe alle estremità dei flettenti come gli archi asiatici, sia senza leve rigide come l’arco egiziano, il tutto incollato con colla animale e rinforzato nei punti critici con avvolgimenti di tendine, seta, lino, canapa o rattan.
Il principale vantaggio dell’arco composito asiatico rispetto all’arco primitivo, composto da un unico pezzo di legno, consiste nella sua combinazione di ridotte dimensioni e alto potenziale. Tutti gli archi compositi sono archi ricurvi ed erogano quindi più forza-peso al momento iniziale del carico, immagazzinandola per il momento del rilascio. Un arco di legno con la medesima forma, lunghezza e peso dell’arco composito tradizionale è realizzabile ma incapace di incamerare e scaricare la medesima energia: ne verrebbe distrutto.
Ai fini pratici, la capacità dell’arco composito di garantire all’arciere velocità di carico e precisione di tiro anche stando in sella ad un cavallo o sul pianale di un carro ne facevano un’arma nettamente superiore all’arco in legno.

La Balestra

Fino alla comparsa delle prime armi da fuoco la balestra è stata l’arma più devastante che un singolo soldato poteva utilizzare tralasciando l’arco composto o a doppia curvatura. Infatti ha un potere di penetrazione tale da forare la maglia di ferro dei cavalieri. Inoltre l’addestramento per il suo utilizzo risulta più breve di quello per l’arco.
Era un’arma costituita da un arco di legno, corno, o acciaio per un migliore rapporto peso/resistenza, da una calciatura (fusto) denominata teniere e destinata al lancio di quadrelli, frecce, strali, bolzoni, palle o dardi. La corda viene bloccata da un meccanismo chiamato noce. Lo scatto avveniva facendo pressione su una sorta di grilletto chiamato chiave oppure, nei modelli più antichi, abbassando un piolo. La corda veniva tesa grazie a un meccanismo a gancio chiamato crocco oppure, nei modelli più sofisticati, a un martinetto o a una leva.

La balestra ha una fase di caricamento più lunga rispetto all’arco, nella pratica si traduceva nella necessità di assicurarsi un riparo; il lungo caricamento era bilanciato dalla notevole distanza di ingaggio, superiore a quella dell’arco normale o dell’arco lungo, ma non a quella dell’arco composto o a doppia curvatura. Proprio per migliorare l’efficacia dei balestrieri in campo aperto, soprattutto in presenza di tiratori nella parte avversaria, venne introdotto l’uso dei palvesi, grandi scudi di legno dietro cui i balestrieri si proteggevano durante la lenta fase di ricarica. Questi scudi potevano essere assicurati dietro la schiena oppure portati da un addetto, chiamato “palvesario”. Proprio l’assenza dei palvesi nei ranghi dei balestrieri genovesi al servizio del re Filippo VI di Francia portò alla sconfitta francese a Crecy.
La balestra comportò un discreto cambiamento nelle strategie utilizzate in battaglia, ma soprattutto modificò l’approccio alla battaglia da parte dei nobili che, tradizionalmente a cavallo e ben protetti, avevano sempre buone possibilità di uscire vivi dallo scontro.
La diffusione della nuova arma portò gradualmente i cavalieri all’adozione di armature a piastre, più resistenti, e di protezioni specificamente pensate per i cavalli, che si evolveranno col tempo in vere e proprie armature.
Con l’uso massiccio delle balestre il rischio di morire aumentava considerevolmente, anche l’approccio delle battaglie venne generalmente preceduto dall’intervento dei tiratori che, sfruttando la vasta gittata e potenza delle balestre, potevano sfoltire i ranghi avversari prima del corpo a corpo e ripararsi in fretta dietro le vicine linee amiche se caricate da truppe di cavalleria le cui cavalcature si dimostrarono comunque molto vulnerabili ai proiettili.

In genere le battaglie venivano precedute da un confronto a distanza tra i tiratori delle parti avversarie: il vincitore, una volta sgominati i tiratori nemici, avrebbe avuto un importante vantaggio tattico, mantenendo la possibilità di colpire a distanza le truppe avversarie e di coprire quelle amiche nell’avanzata e soprattutto impedendo al nemico ogni possibilità di fare altrettanto.
Nelle battaglie navali tra il XII ed il XIV secolo inoltrato, la balestra fu l’arma principale prima di giungere all’arrembaggio, sia che le unità impegnate fossero navi grosse o cocche che galere veloci e manovriere: in particolare queste ultime, che non potevano imbarcare e in effetti non imbarcavano macchine da lancio pesanti, iniziavano il combattimento col lancio reciproco dei proiettili delle loro balestre, spesso a punta non acuminata ma larga, per lacerare vele e recidere manovre, ma anche le navi più grandi e a propulsione unicamente velica vengono descritte nelle cronache come fornite di “diffici da gittar pietre” = macchine da lancio, trabucchi e simili, ma si dice anche che potevano imbarcare persino 400 balestrieri ciascuna.
La balestra modificò a tal punto le regole dell’ingaggio in battaglia che il suo uso fu spesso osteggiato. Lo stesso Concilio Laterano II del 1139 con Bolla ribadita successivamente da papa Innocenzo II, vietò l’utilizzo della balestra tra eserciti cristiani mentre, non potendo avere influenza sugli eserciti musulmani e gli eretici, lo consentì contro questi.

La maggior parte delle balestre medievali aveva una potenza media misurabile in termini di carico di tiro  libbraggio (misura della tensione della corda, generalmente espressa in libbre-forza o chilogrammi-forza, quando essa viene tesa al massimo) di circa 45 chilogrammi, ma con l’introduzione dell’arco in acciaio furono costruite balestre in grado di sviluppare un libbraggio di oltre 500 chilogrammi e con una gittata utile di oltre 450 metri.

Le tipologie delle balestre:

Balestra a crocco: prendeva tale nome dal gancio appeso alla cintura del balestriere e dalla staffa di cui era fornita la balestra stessa. Il balestriere inseriva il crocco nella corda, il piede nella staffa e tendeva l’arco; di questa balestra, detta anche balestra manesca, erano armati i balestrieri genovesi alla battaglia di Crécy nel 1346, e a quella d’Azincourt nel 1415 (vedi stralcio del dipinto di P. Uccello sulla Battaglia di S. Romano la pagina precedente);

Balestra a leva: si caricava con la leva, da cui prese il nome. La leva si componeva di un braccio di ferro biforcato verso il mezzo della sua lunghezza, ed all’estremità ripiegato a mezzo cerchio, con uno o due ganci snodati che, afferrata la corda, facendo girare i due rami sui perni di ferro posti ai lati del teniere, traevano ed appiccavano la corda stessa alla tacca della noce. Veniva anche chiamata balestra a “piè di capra”: il meccanismo per tendere la corda era così chiamato per la sua forma all’estremità divisa in due parti. Era anche un’arma dei balestrieri a cavallo, con minori dimensioni e con la leva fissata sul teniere;

Balestra a girella: la balestra che si caricava a mezzo di una rotella scanalata, o carrucola, la quale raccoglieva lo spago che serviva per tirare la corda dell’arco per tenderlo;

Balestra a ruota d’ingranaggio: si caricava mediante una ruota dentata che spingeva lungo il teniere un’asta dentata da una parte come una sega.

Vi erano poi le balestre con altri nomi a seconda della loro forma o del proiettile che lanciavano:

Balestra a pallottole: lanciava pallottole di piombo o sassi;

Balestrino: Balestra molto piccola che si tendeva mediante una vite disposta lungo il teniere e messa in moto dal di dentro del calcio. Si poteva portare nascosta, per cui era considerata arma proibita ovunque dai bandi sulle armi. Lanciava un cortissimo dardo o a volte un ago spesso avvelenato.